Le maschere popolari del Carnevale (in Italia sono famosi quello di Venezia ma anche di Viareggio e Cento) diventano veri e propri soggetti di un genere nuovo: la Commedia dell'Arte (ph: AXP Photography | Unsplash).

 
STORIA E CULTURA
Il Carnevale e la Commedia dell'Arte

Storia di una tradizione

GIOVEDI 22 FEBBRAIO 2024 | DI CLAUDIO FRANZONI | TEMPO DI LETTURA: 2 MINUTI

 *Questo articolo è uscito nel numero di Gennaio-Febbraio 2024 di Terre & Culture nella rubrica Il Pennino

 

 

 

La Commedia dell’arte, termine che compare già nel Teatro comico di Carlo Goldoni verso la metà del XVIII secolo, si chiama così perché i suoi attori, per la prima volta, erano di mestiere, costituiti in regolari compagnie, recitavano per tutto l’anno a fine di lucro come veri e propri professionisti. Sono dicitori e declamatori, mimi, acrobati e giocolieri, cantori, musici, ballerini; nei casi migliori hanno anche una preparazione culturale.

 Quale fu la scoperta essenziale dei comici dell’arte?

 Che il pubblico veniva attratto non tanto dall’autore, quanto dall’attore.

Le primissime compagnie dell’arte, costituitesi in Italia circa alla metà del Cinquecento, e presto ricercate all’estero, si componevano di non più di dieci o dodici attori e, finalmente, uomini e donne. Tra di essi, ispirati alla cultura popolare del Carnevale, ricordiamo Pantalone, il borbottone gretto, avaro e sempre beffato; il Dottore Balanzone, caricatura dell’intellettuale; Brighella, servo furbo e imbroglione; Pulcinella, esponente generico d’una plebe rotta a tutti i mestieri e a tutte le avventure; Arlecchino, servo poltrone, che a poco a poco disporrà delle originali toppe multicolori; c’era il millantatore e spaccone, Capitan Spavento, altro erede di tipi antichissimi che risalgono alle origini arcaiche della rappresentazione comica. C’erano inoltre le servette: Corallina, Colombina, Smeraldina, Ricciolina, destinate a contrapporre i loro amori popolani a quelli delle coppie di innamorati nobili.

Col tempo la schiera dei personaggi aumentò, ma si mantenne tuttavia l’ossatura “classica” e le sue principali maschere rimasero sempre le stesse. L’ammirazione per questi comici italiani ha puntato, sin dalle origini, non solo sulla loro personale bravura (non recitavano un testo imparato a memoria), bensì seguivano una traccia generale per poi improvvisare. A questo scopo ogni attore aveva il suo bravo repertorio di lazzi, giochi scenici, motti, tirate, concetti, disperazioni, maledizioni, soliloqui, spropositi, entrate e uscite, addirittura in versi. Dunque, non già un testo scritto, bensì uno schema, uno scenario sviluppato via via dagli attori e dal loro talento.

Il teatro del ‘600 trasformò la scena. Non più commedie e tragedie per le quali i pittori avevano dipinto tante scene (fondali statici) di città, ma spettacoli ricchi di colore, scene mutevoli, voli di creature o di mostri fantastici grazie a ingegni ed apparati meccanici. Anche la sala del teatro subirà notevoli modifiche. Prima, una piattaforma nel centro della sala permetteva ai nobili di seguire la scena al meglio. In questo secolo si compie il passaggio dal teatro alloggiato in uno spazio che normalmente ha un’altra destinazione, alla concezione del teatro barocco, inteso come edificio stabile, indispensabile nella costituzione di ogni città, con una precisa fisionomia, identificabile già dalla sua facciata. Nei teatri del periodo barocco si cercherà quindi di permettere a tutti gli spettatori di trarre un eguale godimento delle meraviglie create sul palcoscenico. La sala del teatro assumerà la forma a ferro di cavallo con file di palchetti (scalini) degradanti verso il palcoscenico. Il passo successivo è quello che avrebbe portato all’edificio teatrale moderno del melodramma.