TURISMO
In ricordo di Dino Sarti
Tradizioni bolognesi in Piazza Maggiore

MARTEDI 18 APRILE 2023 | DI CLAUDIO FRANZONI | TEMPO DI LETTURA: 3 MINUTI

*Questo articolo è uscito nel numero di Marzo - Aprile 2023 di Terre & Culture, nella rubrica Il Pennino

 

 

Correva marzo 2007.

Lo seppi per caso, come, per caso, si apprendono tante notizie.

D’altronde, a chi poteva importare la morte del cantautore bolognese, dell’operaio, di chi era riuscito a riempire tre piazze la sera del 14 agosto? Sono passati ormai 16 anni e nessuno pensava che nel 2008 sarebbe scoppiata la crisi finanziaria, il 2011 era ancora lontano, come lontana era ancora un’altra guerra ad insanguinare un’Europa che di guerre ne aveva già viste e vissute abbastanza e una crisi climatica e ambientale di cui già si sentiva parlare, ma solo parlare!

Quella sera eravamo tutti lì, per lui, senza pensieri, contenti di essere nella nostra Piazza meravigliosa, per quella che sarebbe stata l’ultima vera manifestazione bolognese, poi il nulla.

E così, lasciatemi questa mia piccola finestra, che la redazione mi ha concesso, al ricordo personale di quel cantautore delle cui canzoni il grande Enzo Biagi scriveva: “Le canzoni di Dino Sarti hanno il sapore del pane all’olio e rispecchiano il carattere della mia gente”.

La mia gente, appunto: il bolognese.

Sarti cantava soprattutto per noi bolognesi (e, forse, per nostalgia, per una Bologna sempre più lontana dalla “bolognesità”, dalla vecchietta con le caldarroste alla festa con la fiera di Santa Lucia a Natale, dove a noi bambini venivano regalate le caramelle e quanto era buone!), amanti da sempre del dialetto, delle tagliatelle tirate a mano, dei tortellini - ma solo in brodo di cappone -, delle donne, dello stare insieme, del ritrovarsi in Piazza Maggiore anche alle due di notte, come mi raccontava mio padre, con cipolla e fagioli sotto le due torri.

Ricordo ancora quei pomeriggi del 14 agosto quando eravamo a sedere, io e mio padre, sotto il sole nelle prime file, e quelle sere piene di stelle, calde come noi, durante le quali, dopo poche ore, diventavamo amici tutti di tutti, dei panini con la mortadella (quella vera!), della signora della sedia di fianco o dell’Albana del signore che veniva da San Carlen, accompagnati dai cartelloni: Dino fenomen, Bravo Dino, Dino cuntant?

Parlavamo in dialetto, allora e, quando Spometi arrivava sul palco, era tutto un applaudire, un cantare insieme, perché sapevamo avrebbe iniziato con Piazza Maggiore 14 agosto, ricordando un pomeriggio con la nostra bella sull’erba di Fosa Merza, o la squadra del Bologna con Bologna campione, o La notte dei Biasanot, o San Carlen seguito da un boato di applausi e qualche lacrima, o Viale Ceccarini Riccione, o Che Beli faz che bela zent, che chiudeva la serata, e bis, tanti bis.

Non c’erano scontri, non urla, non offese. C’eravamo solo noi bolognesi che, insieme a lui, rivivevamo in quelle canzoni la nostra vecchia Bologna, quello che eravamo e che, purtroppo, ormai, non siamo più. Alla fine della raccolta dei quattro dischi (rara) che conservo e ogni tanto ascolto, Dino scriveva: “… Volevo ancora dirti (rivolto a chi era in Piazza Maggiore, nda) che Piazza Maggiore 14 agosto è il più grande, il più fantastico spettacolo di gente che una mente umana possa immaginare. Lasciamelo dire! A quella piazza ho dedicato Piazza Maggiore 14 agosto, e a quella gente Che belle facce, che bella gente. Ci sei anche tu con loro”.

Ciao Spometi, at salut.