(ph: Edoardo Bortoli | Unsplash).

 
EDITORIALE
Agricoltura e proteste

 

LUNEDI 22 APRILE 2024 | DI CLAUDIO VENTURELLI | TEMPO DI LETTURA: 3 MINUTI

 *Questo articolo è uscito nel numero di Marzo-Aprile 2024 di Terre & Culture come Editoriale

 

 

Nei mesi scorsi abbiamo assistito a proteste piuttosto vivaci da parte degli agricoltori, esasperati da condizioni economiche che non rendono più vantaggioso il loro lavoro nei campi. In realtà, la situazione è più complessa di quanto si possa immaginare. Sarebbero almeno quattro le principali motivazioni che spingono gli agricoltori a protestare: prezzi bassi dei prodotti agricoli e costi in aumento, iniqua distribuzione del valore lungo la filiera, vincoli e complessità della normativa europea, sindacati agricoli incapaci di rappresentarli. Gli agricoltori chiedono anche la revisione del Green Deal europeo (Patto verde europeo) per contrastare la concorrenza sleale, la diffusione di “cibi sintetici” e riconoscere il valore del made in Italy.

Con blocchi stradali e rallentamenti del traffico, gli agricoltori, sui loro trattori, sono arrivati fino al Parlamento Europeo per attirare l’interesse della politica sui problemi di un settore in forte crisi da anni. La questione ‘ecologica’ è vista da alcuni come complicazione maledetta per le eventuali restrizioni all’uso dei pesticidi del tutto sgradite. Eppure le proposte dovevano servire a rendere l’agricoltura meno inquinante e con produzioni di maggiore qualità, a salvaguardia della salute degli operatori e del territorio. Le evidenze scientifiche sui pericoli ed effetti collaterali di queste sostanze non vanno, però, dimenticate o sottovalutate, non c’entra la cosiddetta ideologia ambientalista. Per esempio, nel mais si è dimostrato che, nel momento del divieto d’impiego di semente conciata con fipronil e neonicotinoidi (insetticidi), i coltivatori non hanno avuto cali di produzione, mentre per gli apicoltori, e i loro prodotti degli alveari, le api e probabilmente altri insetti utili, si sono avuti grandi vantaggi. C’erano stati giornalisti ed economisti agrari che avevano insinuato che senza insetticidi i danni da insetti avrebbero portato al lastrico i maiscoltori! Per fortuna non è stato così. La questione è seria e va analizzata sotto i vari aspetti. Ormai viviamo in un mondo nel quale le grandi Lobby decidono da che parte girare il timone per andare dove gli interessi economici la fanno da padroni. Il lavoro degli agricoltori è fondamentale e va certamente tutelato e sostenuto, senza di loro non c’è futuro, altro che cibi sintetici!

Salvaguardare le tradizioni alimentari nel rispetto della natura rimane un diritto di tutti i cittadini e non sempre il solo impiego di pesticidi o agrofarmaci rappresenta la soluzione migliore. Ci sono stati tanti esempi a dimostrarlo, a partire dal Ddt che nel 1962, dopo il libro “Primavera silenziosa” (Silent spring) di Rachel Carson, venne via via messo al bando, così come successe con altri composti quali Aldrin, Dieldrin, Endosulfan, ecc. L’entomologo Guido Grandi di Bologna, nel discorso inaugurale dell’Accademia Nazionale italiana di Entomologia, costituita nel 1950, affermava: “Con l’avvento dei cloroderivati organici e di altri prodotti ottenuti per sintesi, la cui produzione e la cui applicazione si è sviluppata, come tutti sanno, immediatamente dopo l’ultima guerra intercontinentale, le cose invece sono cambiate, e l’Uomo sembra ora in possesso di mezzi atti a vincere la partita. Dico “sembra” a ragion veduta, perché gli Insetti potrebbero riserbarci delle sorprese. Per intanto hanno incominciato ad offrirci, timidamente, delle razze o delle popolazioni parzialmente od integralmente resistenti ad alcuni dei nostri preparati infernali”.

Era il 1962, l’epoca del boom economico, dove tutto sembrava possibile in nome del progresso. Eppure la storia racconta altro. Purtroppo numerosi pesticidi coi loro residui e metaboliti non si rinvengono solo nelle aree coltivate intensivamente, ma anche in quelle naturali, raggiungono aree montane, percolano nelle falde acquifere, arrivano nei ghiacci dell’Artico, dove si ritrovano mix di residui di molecole di sintesi chimica persino nel grasso delle foche. Gli economisti hanno fatto passi da gigante nel determinare quanto cibo va in discarica, ma per completare il lavoro dovrebbero misurare anche quanti chilogrammi di pesticidi vengono adoperati, a volte solo preventivamente e senza valutare l’impatto ambientale e i costi sociali. Inoltre sarebbe importante rivedere i percorsi dei prodotti che passano dal campo alla tavola per una corretta remunerazione del lavoro svolto da coloro che sul terreno si sono spezzati la schiena e hanno investito denari, sobbarcandosi tutti i rischi di produzione. Il costo dei cibi acquistati in negozio subisce una lievitazione del valore pari a decine di volte rispetto al prezzo riconosciuto all’agricoltore che li ha prodotti, vogliamo parlarne? Insomma, per aiutare gli agricoltori a indirizzare meglio le loro proteste e tutelare i loro diritti, sembra proprio che di strada da percorrere ce ne sia ancora molta.