
La via francigena
*Questo articolo è uscito nel numero di Gennaio-Febbraio 2020 di Terre & Culture, nella rubrica Terre d'autore
Era il 990 d.C., primavera inoltrata. L’arcivescovo di Canterbury Sigerico si preparava a lasciare la regione del Kent, in Inghilterra, e partire con il suo seguito alla volta di Roma per ricevere da Papa Giovanni XV lo storico pallium, un mantello onorifico in lana bianca che attestava l’impegno pastorale dell’arcivescovo. Era dunque un viaggio lungo (1600 km e due mesi di cammino) e obbligato per Sigerico, ma non troppo inusuale all’epoca per un qualsiasi pellegrino, monaco, mercante, uomo di cultura o re proveniente dalla Manica. Dopo l’evangelizzazione dei regni sassoni del sud da parte di Sant’Agostino di Canterbury alla fine del VI secolo, si instaurerà infatti un flusso continuo di viaggiatori che dalle isole britanniche attraverso la Francia giungeva a Roma, lungo quella via nota in Italia come Francigena, contribuendo anche a creare scambi e interrelazioni che furono alla base di una sostanziale unità culturale dell’Europa dal X al XIII secolo. Il tragitto del prelato quindi, come già detto, non fu inusuale ma singolare fu il diario che Sigerico redasse, su suggerimento del papa, per il viaggio di ritorno. Il prelato inglese giunse a Roma in Luglio, in una capitale afosa e semideserta. Ospite della Scola Saxonum, un’istituzione il cui scopo allora era di fornire una preparazione e un'istruzione cattolica al clero e ai nobili inglesi, rimase nella capitale per tre giorni, pranzò con il papa e visitò frettolosamente 23 chiese, tra cui le principali basiliche e i luoghi di martirio degli apostoli. Quando ripartì, iniziò a comporre con uno scrivano a seguito il prezioso resoconto, che non solo rappresenta un documento unico dell’itinerario di un pellegrino anglosassone dell’Alto Medioevo, ma offre anche un’immagine precisa di un tipico romeaggio dell’epoca. Roma infatti si trovava sulla via per Gerusalemme e fin dal IV secolo coraggiosi pellegrini muniti di bibbia, fiasca e bordone affrontavano un lungo e arduo viaggio, dettato dal fervore religioso, da un obbligo morale o da un concreto spirito di diffusione del messaggio cristiano, e, proseguendo a sud di Roma sulle antiche vie romane dell’Appia e della Traiana Nova, giungevano a Brindisi o a Santa Maria di Leuca e da lì si imbarcavano per la Terra Santa. Nel 640 quando Gerusalemme cadde sotto l’Islam, il flusso dei devoti calò drasticamente ma non si arrestò, proseguì anche nei secoli successivi, prima e dopo le crociate, per divenire una costante nel Basso Medioevo. Nel testo di Sigerico vengono riportate 79 tappe o mansiones, in cui figurano non solo città ( in Toscana ad esempio vengono citati gli storici borghi di Siena, San Giminiano o la meno conosciuta San Miniato) ma anche santuari, chiese, ospedali, luoghi dove attendere il traghetto o rifocillarsi e far riposare gli animali da soma o le cavalcature; un percorso in cui i viandanti spesso incontravano condizioni climatiche avverse, aquitrini, paludi, zone di bosco impenetrabile o banditi, venendo così a creare nel tempo numerose varianti a partire dall’itinerario di base.
Il percorso di Sigerico da Roma a Canterbury nel 2004 è stato dichiarato Grande itinerario Culturale Europeo, così come il Cammino di Santiago de Compostela in Spagna, che insieme alla capitale italiana e Gerusalemme rappresentava nel Medioevo una delle tre peregrinationes maiores, ovvero le principali mete di pellegrinaggio.
La Francigena era un ponte di culture, come scrisse il medievista Jacques Le Goffe, che collegava l’Europa anglosassone a quella latino-mediterranea e che oggi è possibile ripercorrere, tappa per tappa, per rivivere, sia attraverso i paesaggi ( da quello alpino del Colle Gran San Bernardo al dolce paesaggio della Piccardia e dello Champagne), che i borghi medievali, le emozioni di un tempo.
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