
I cannibali più simpatici del mondo
L’Indonesia è uno tra gli Stati-arcipelago più vasti e popolati al mondo, formato da circa 18.000 isole (delle quali solo 2.350 abitate), distese lungo la linea dell’equatore a formare un ponte di terre emerse tra l’Oceano Indiano e l’Oceano Pacifico. La maggior parte delle isole indonesiane sono montagne vulcaniche, molte ancora attive, ricoperte da una rete di foreste tropicali (per estensione seconda solo a quella amazzonica), che si estendono verso la costa o delineano grandi paludi alluvionali. Le isole, circondate da basso fondale e coloratissime barriere coralline, ospitano un grande numero di etnie, clan e tribù, alcune delle quali vivono in condizioni primitive.
In questo contesto, il lago Toba e l’isola al suo centro, Samosir, assumono un carattere davvero malioso perché ospitano una popolazione con tradizioni davvero singolari: i batak, i cannibali più cordiali del mondo.
Cerimonia nel villaggio batak sull'isola di Samosir, a sud della penisola malese
Descritti come “ferocissimi” dai primi esploratori che si recarono nell’area intorno al lago Toba, opposero una forte resistenza ai colonizzatori olandesi della Compagnia delle Indie Orientali, che a fine ottocento controllava i traffici commerciali intorno all’arcipelago indonesiano. L’antropologo e zoologo italiano Elio Modigliani fu uno dei primi esploratori che riuscì ad avvicinare e studiare le tribù dei Toba Batak, fino ad allora sconosciuta al resto del mondo. Secondo Modigliani, i componenti delle tribù attribuivano poteri soprannaturali ai loro re-sacerdoti, che chiamavano Singamangaraja, i quali tenevano rituali ed esercitavano la magia. Erano cannibali, ma praticavano l’antropofagia solo a spese dei nemici o di chi aveva infranto le leggi della comunità. Questa terrificante tendenza non era legata a periodi di carestia o ad una crudeltà innata, quanto più alla propria cultura e alle loro credenze. I Toba Batak erano, infatti, convinti che mangiando i corpi, avrebbero assorbito la forza e il potere dei loro nemici. Erano molto bellicosi e spesso nascevano conflitti anche tra tribù vicine, per questo motivo vivevano in villaggi fortificati, che adornavano esponendo le teste dei loro nemici.
Oggi i villaggi non sono più fortificati e le caratteristiche capanne a corno, fatte di legno intarsiato, hanno il tetto in lamiera perché richiede meno manutenzione rispetto alle originali foglie di palma.
Vantano un glorioso quanto terrificante passato da cannibali, ma oggi affidano le loro ultime speranze di sopravvivenza culturale al turismo.
L'autore (a destra) con un anziano del villaggio
Tuttavia, pensare che sia stato proprio il turismo l’artefice della loro decadenza è erroneo quanto superfluo. Solitamente i turisti sono gli ultimi ad arrivare, molto prima arriva la modernità: merci, strade, comodità e tecnologia si diffondono tra i popoli come le fiamme in un granaio. Gli agi del progresso hanno creato dipendenza e nuovi bisogni, facendo crollare la preesistente economia. È nato, quindi, anche tra i batak il concetto di povertà e si sono ritrovati ad abbandonare i villaggi più remoti, per avvicinarsi alle vie di comunicazione, alla ricerca di un lavoro per sopravvivere. I più sfortunati sono costretti a lasciare la propria terra natia per trasferirsi nelle città, dove ad attenderli trovano una vita a margine della società, scandita da stenti e miseria, che fa dimenticare loro le proprie radici culturali e religiose. Grazie al turismo, invece, i batak stanno riscoprendo l’importanza della loro antica cultura, valorizzando tombe, sculture e rituali. Le vecchie tradizionali capanne a corno, invece di essere abbattute, vengono date in affitto e le leggende dei Toba Batak sono diventate un forte richiamo per turisti e investitori. Dopo un po’ di strada percorsa verso l’entroterra dell’isola di Samosir, con il mio pesante zaino sulle spalle e non senza un pizzico di suggestione, sono giunto all’ingresso di un villaggio batak. Sono stato accolto da una signora che mi è venuta incontro sorridendo: «salve straniero, ti prego, dimmi che ti unisci a noi per cena» mi ha detto, mostrandomi i suoi denti affilati.
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